I SIGNORI DI URGNANO

SOZZONE SUARDI

I Suardi furono tra i più antichi signori di Urgnano, e la loro fortuna si sviluppò specialmente all’epoca del dominio dei Visconti, di cui erano alleati. Giovanni Suardi, detto “sozzone”, fu un soldato di professione, un provvisionato al soldo di Bernabò Visconti; una professione, la sua, che lo fece risaltare alle cronache dell’epoca per l’eccentricità delle sue armature e per il suo temperamento spavaldo.

Come Signore di Urgnano è interessante la sua figura di proprietario terriero: nel 1362 egli vi possedeva più di 161 pertiche, più quattro case, cascine, vari orti e un frutteto, dove però vi si stabiliva di rado, approfittandone soprattutto durante varie soste nei suoi viaggi a cavallo da Bergamo a Milano, dove si recava per mostre e per motivi di guerra.

Ad amministrare le terre durante la sua assenza pensavano Leonarda, sua donna di fiducia, e i suoi servi Bonetto e Gianni. Quest’ultimo, in particolare, ebbe buona sorte della sua fedeltà al Signore quando, nel 1370, Sozzone lo portò con sé tra i provvisionati e lo fece nominare suo cavaliere, con una sorta di promozione sociale.

Tuttavia, dai diari del Suardi, è evidente come non tutte le terre sotto il suo controllo gli fossero derivate da azioni regolari; di una in particolare ammise direttamente di averne usurpato la proprietà, essendo in realtà stata regolarmente donata dal legale proprietario, in suffragio alla propria anima, a tre chiese di Urgnano.

BARTOLOMEO COLLEONI

La signoria del Colleoni su Urgnano è molto interessante per il suo significato politico.

La sua permanenza nel paese, comunque, non dovette essere rosa e fiori per le popolazioni locali, così Colleoni sollecitò Venezia al pagamento delle paghe promesse. Avendo ricevuto da Venezia i castelli e le terre promessagli, Colleoni potè lasciarle in eredità ai discendenti adottivi, non avendo avuto figli maschi, con privilegi ed esenzioni importanti, che si sarebbero perpetuati per secoli. L’intero ammontare delle terre fu donato ai nipoti Alessandro ed Estore Martinengo, a eccezione della Rocca, venduta invece al Signor Abondio Longhi de Curnis (o de Cumis), fedele del Colleoni. Nel castello urgnanese, a testimonianza di questo fatto, si può notare in molte parti lo stemma della famiglia Longhi: ad esempio un recente restauro ha riportato alla luce, sopra l’ingresso principale e nell’androne, diverse insegne araldiche riferibili alla famiglia Longhi (un grifone alato rosso con bande bianche e rosse) e alla famiglia Cucchi, cui la moglie di Abondio apparteneva.

Le terre fortificate assegnate a Colleoni da Venezia, e con esse Urgnano e Cologno, furono immediatamente recuperate dallo stato per motivi di sicurezza.

I LONGHI

Abondio Longhi fu segretario fedele di Bartolomeo Colleoni, dal quale ricevette incarichi di fiducia che si estesero anche al fratello Tomaso, che fu podestà di Martinengo e poi di Urgnano e Cologno, con un incarico a vita, ma che morì molto presto e venne sepolto alla Basella.

Abondio dedicò parte della sua vita ad acquistare i beni in vari luoghi della Bassa, ma specialmente nel territorio di Urgnano: lo testimoniano 29 contratti stipulati con proprietari Urgnanesi tra il 1466 e il 1500, solo tra quelli conservati tra le Pergamene del Comune di Bergamo.

Famoso fu il suo ruolo di “arbitro delle liti”, una prerogativa dei Signori di allora, con la quale spesso si sostituivano alle autorità giudiziarie e amministrative competenti; resta testimonianza, in particolare, di una lite per le gere del Serio tra Urgnanesi e Hhisalbesi, i quali dopo aver consultato inutilmente importanti personaggi come il podestà di Bergamo, si rivolsero proprio al Signor Abondio, che seppe porre fine alla diatriba.

Abondio morì nel settembre del 1508 e fu seppellito nella propria cappella nella chiesa di S. Stefano, vicino alla moglie Maddalena.

Poche notizie si hanno, invece, del figlio Marco Antonio, del quale alcune fonti riportano anche fatti incresciosi, in particolare un episodio di delinquenza in una delle non poche, sanguinose faide tra Signori bergamaschi del sedicesimo secolo.

GIAN GEROLAMO E GIAN DOMENICO ALBANI

Nel 1539, tre anni dopo la morte di Abondio Longhi, la figlia Teodora vendette la Rocca di Urgnano a Gian Gerolamo Albani per 10000 scudi d’oro, come risulta dall’atto di vendita rogato dal notaio Giovanni Maria Rota e conservato sul fondo notarile dell’archivio di Stato di Bergamo: così la Rocca passò tra le proprietà degli Albani, una delle famiglie più rappresentative e influenti di Bergamo.

Con la Rocca passavano in proprietà degli Albani tutti i terreni e gli edifici che la circondavano, con la casa del massacro, le stalle e i fienili e con tutti i terreni coltivati a grano, a vite e a prato del territorio di Urgnano.

Oltre alle proprietà precedentemente possedute dai Longhi, Gian Gerolamo ebbe, dall’imperatore Carlo V, il potere di nominare i notai, due dottori e due cavalieri ogni anno, emancipare servi, riconoscere e legittimare figli naturali, bastardi, spuri, illegittimi e incestuosi, per sé e per i discendenti primogeniti, in eterno. Questo privilegio venne poi abolito da Venezia per questioni legali.

Gian Gerolamo si rese protagonista anche di eventi importanti e pericolosi all’epoca.

Nel 1550, il conte, uomo politico e militare, ma anche dotto teologo, aiutò il frate Michele Ghislieri, futuro papa Pio V, nella delicata missione di inquisizione per sospetto di eresia a carico, tra gli altri, del vescovo di Bergamo, Vittore Soranzo. Davanti alla reazione violenta di certe famiglie bergamasche contrarie all’inquisizione, G. Gerolamo protesse la fuga del frate, ospitandolo proprio nel suo castello di Urgnano.

Riprendendo la questione, già menzionata al riguardo di Marco Antonio Longhi, delle faide signorili, se ne ricorda anche una che vide gli Albani contro i Brembati, dalla quale ne derivò l’uccisione, su ordine di Gian Gerolamo e per mano dei tre figli, di Achille, componente della famiglia rivale, durante una messa celebrata in Santa Maria Maggiore.

L’Albani venne bandito dalla Repubblica e, dopo vari spostamenti, finì a Roma dove il Papa, per riconoscenza del precedente aiuto, costrinse la Serenissima a revocare il bando e lo nominò cardinale. Di conseguenza non faticò a ottenere protezione per sé e per i propri figli. Gian Domenico, in particolare, poté poi rientrare, armato e riverito, prima in Urgnano, di cui prese possesso, e poi in Bergamo.

Malgrado l’esilio e il perdono, non pare proprio che G. Domenico mettesse la testa a posto e la sua Rocca di Urgnano dovette anzi diventare, per lungo tempo, uno dei centri più torbidi della delinquenza signorile.